La comunicazione e il marketing sono cambiati radicalmente nel giro di pochi anni. Dallo tsunami che è stato l’avvento del digitale e dei social, nell’ultimo biennio siamo entrati in un’altra rivoluzione epocale: quella dell’intelligenza artificiale.
In che modo sta cambiando il settore? Vediamolo assieme nelle prossime righe!
I numeri dell’intelligenza artificiale tra i professionisti
Partiamo, come è in generale utile fare quando si analizza un fenomeno pressoché nuovo, mettendo in primo piano qualche numero.
Autorevoli e recenti ricerche, in particolare una curata dal colosso Deloitte, dimostrano che circa il 92% dei professionisti utilizza nella propria quotidianità l’intelligenza artificiale, soprattutto come supporto ad attività ripetitive.
Lato aziende, si parla di un’alleata preziosa per colmare carenze di competenze che rischiano di rallentare i processi.
Il rapporto con la creatività
Uno degli aspetti più discussi quando si parla di intelligenza artificiale oggi riguarda il suo rapporto con la creatività umana. Come in molte situazioni, anche in questa la verità sta nel mezzo, in quella scala di grigi che dovrebbe essere faro guida quando ci si approccia a un’innovazione.
Come sa bene chi lavora in un’agenzia creativa e, ogni giorno, si trova, molto più di altre persone, ad avere a che fare con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in diversi ambiti, dalla creazione di testi a quella di immagini, l’AI può essere vista come un potenziatore dell’inventiva umana.
Per rendersene conto basta citare la creazione di prompt per immagini e video, che implica, di fatto, la capacità di saper “disegnare con le parole”.
Sempre in ottica di creazione di prompt, non si può non menzionare l’importanza di andare in profondità, altro compito che richiede di mettere in campo la propria creatività.
Accanto a tutto ciò, non si possono non menzionare delle oggettive criticità.
Come evidenziato da uno studio scientifico pubblicato sulla rivista Science e con un titolo che parla da solo, ossia Generative artificial intelligence enhances creativity but reduces the diversity of novel content, da un lato, nel caso delle storie, si può apprezzare un aumento della creatività, con narrazioni scritte meglio, dall’altro, invece, una generale similitudine tra le stesse.
Questa conclusione ci ricorda che l’intelligenza artificiale è sì utile, ma che il rischio di un eccessivo affidamento è quello di livellare il contributo creativo e originale di chi, sia lavorando da solo, sia operando in team, si distingue per le sue capacità uniche e la sua fantasia.
Il ruolo del professionista della comunicazione e del marketing
Come dovrebbe quindi agire il professionista che, nel 2025, si occupa di comunicazione e marketing? La conoscenza dello strumento è ormai data per scontata.
Essenziale è fare un passo oltre e considerare, per esempio, la problematica, dibattuta come non mai in questo periodo, dei bias.
Uno dei principali aspetti sui quali soffermarsi riguarda la discriminazione verso specifici gruppi di persone.
Per approcciarsi nel modo giusto allo strumento è opportuno considerarlo una mappa e mettersi nell’ottica del fatto che le informazioni che mette a disposizione possono anche essere inesatte.
Entra in questo caso in gioco la creatività del singolo che, attraverso il lavoro sull’output e sull’affinamento del prompt, si distingue ed evita sia il sopra menzionato appiattimento, sia di pubblicare contenuti che possono alimentare discriminazioni e pregiudizi già radicati nella società.
Le competenze tecniche, in seno alle agenzie e nella quotidianità del professionista che gestisce in maniera autonoma la sua comunicazione, vengono quindi esaltate dalla creatività, dalla capacità di critica e dalla padronanza della semeiotica.
Un altro motivo per cui non aver paura dell’AI riguarda il fatto che, in campi come la comunicazione, le relazioni sono linfa vitale – basti pensare al lavoro di chi si occupa di PR – e richiedono il contributo delle soft skill umane.