Houseparty chiuderà ad ottobre

Houseparty, l’app di videochiamate di proprietà di Epic Games, i creatori di Fortnite, chiuderà entro la fine del mese. Lanciata per la prima volta nel 2016, l’app è stata acquisita da Epic nel 2019 come parte di un accordo multimilionario. Nel novembre 2020 è stata integrata al celebre videogioco Fortnite per permettere ai giocatori di vedersi durante le sessioni di gioco multiplayer.

Tuttavia, gli sviluppatori hanno sostenuto che l’impegno profuso per altri prodotti Epic Games avrebbe significato il non poter dare ad Houseparty “l’attenzione che merita”. In una dichiarazione, il team ha detto che avrebbe invece sviluppato “nuovi e creativi modi di  realizzare interazioni sociali significative ed autentiche” in altri software Epic Games.

Mentre l’applicazione continuerà a funzionare fino ad ottobre, è già stata rimossa dal Google Play Store e App Store di Apple per prevenire l’iscrizione di nuovi utenti.

Houseparty ha guadagnato popolarità all’inizio della pandemia globale poiché in tutto il mondo erano stati introdotto blocchi nazionali e l’impossibilità di lasciare la propria abitazione. Il software permette alle persone di “imbucarsi” nelle stanze di video chat hostate dagli amici presenti nella propria lista, e offre giochi di gruppo molto interessanti per giocare insieme e passare del piacevole tempo in compagnia.

Tuttavia, la sua reputazione è stata danneggiata nel marzo 2020, quando una voce (poi smentita) suggeriva che  scaricare l’applicazione avrebbe portato gli account di Netflix e Spotify ad essere “violati”. Il cyber reporter della BBC Joe Tidy ha rivelato che, al momento, un insider di Houseparty gli ha confidato che  la disinformazione virale aveva creato un danno di oltre un milione di utenti che, in massa, decisero di abbandonare e disinstallare l’applicazione.

Houseparty ha infine dichiarato alla stampa di non aver trovato alcuna prova che il suo servizio fosse stato compromesso. La compagnia in seguito offrì una ricompensa di 1 milione di dollari (720.000 sterline) a chiunque potesse provare che era stato l’obiettivo al centro di una campagna di diffamazione deliberata. La ricompensa non è stata reclamata, rivelando difatti la falsità delle accuse iniziali.

 

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