Anche Facebook attaccata sul fronte della privacy, arrestato il numero due in Brasile

Come se non bastasse la battaglia legale che impazza in questi giorni nei tribunali degli Stati Uniti tra Apple ed Fbi, con la società di Cupertino rifiutatasi apertamente di fornire i dati personali salvati nella memoria di un iPhone 5c di uno degli attentatori responsabili della strage di San Bernardino e per questo, secondo l’ente investigativo degli Stati Uniti. rea di mancata collaborazione, anche Facebook è ora attaccata sul fronte della privacy in Brasile, dove alcune ore fa è stato addirittura arrestato il vicepresidente Facebook per l’America Latina, l’argentino Diego Dzodan, accusato di non aver voluto collaborare su indagini legate al narcotraffico, rifiutandosi di fornire messaggi WhatsApp degli utenti indagati.

Secondo quanto emerso, un giudice della città di Lagarto, nel Sergipe, avrebbe disposto l’arresto del vicepresidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan, prelevato dalle forze dell’ordine addirittura mentre si stava recando sul luogo di lavoro ed interrogato in merito alla mancata collaborazione ed un ordine giudiziario che obbligava Facebook a rivelare informazioni e messaggi trasmessi attraverso WhatsApp, di proprietà proprio del social di Mark Zuckerberg.

Facebook era già stata bloccata in Brasile per 48 ore lo scorso anno, per la vicenda del narcotraffico e di sospetti membri dei cartelli che avrebbero utilizzato WhatsApp per coordinare spostamenti e vendita di droga, rea secondo il Governo brasiliano di mancata collaborazione, essendosi rifiutata di fornire dati sensibili dei propri utenti e dei messaggi scambiati tra loro agli inquirenti e successivamente multata con una sanzione di oltre 230 mila euro.

L’arresto di Dzodan è destinato sicuramente a scatenare forti reazioni e discussioni, soprattutto dopo le polemiche già legate alla vicenda tra Apple ed FBI, così come evidenziato da un portavoce di Facebook, che ha commentato così l’accaduto: “Siamo amareggiati. Si tratta di una decisione estrema e non proporzionata. Siamo sempre stati disponibili e continueremo ad esserlo a collaborare con le autorità”.

Facebook e WhatsApp hanno inoltre dichiarato che anche volendo, non avrebbero potuto collaborare più di quanto già fatto con gli enti investigativi brasiliani, motivando così la propria posizione:

“Siamo molto delusi del fatto che l’applicazione della legge sia arrivata a questo punto estremo. WhatsApp non può fornire informazioni che non ha. Abbiamo collaborato al massimo delle nostre capacità in questo caso e se da una parte rispettiamo il lavoro importante delle forze dell’ordine, dall’altra siamo fortemente in disaccordo con la loro decisione. Non siamo in grado di fornire informazioni che non abbiamo, la polizia ha arrestato qualcuno su dati che non esistono. Inoltre, WhatsApp e Facebook funzionano in modo indipendente, quindi la decisione di arrestare un dipendente di un’altra società è un passo estremo e ingiustificato. Non possiamo commentare questa indagine specifica, se non per dire che abbiamo collaborato per quanto abbiamo potuto vista l’architettura del nostro servizio WhatsApp non memorizza i messaggi delle persone. Li trattiene fino a che non vengono consegnati, dopo esistono solo sui dispositivi degli utenti. Inoltre abbiamo messo in atto un forte sistema di crittografia ‘end-to-end’, che significa che i messaggi delle persone vengono protetti dai criminali online. Nessuno, nè WhatsApp o chiunque altro può intercettare o compromettere i messaggi degli utenti”. 

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