Origami ed acqua sporca, ecco la batteria per i paesi in sviluppo

Un team di ricercatori della Binghamton University di New York ha realizzato la prima batteria origami ed alimentata con acqua sporca.

Gli Stati Uniti stanno studiando possibili soluzioni per evitare la distruzione del nostro pianeta e così dopo l’annuncio del progetto “The Solution Project“, sempre dagli USA e con più precisione dalla Binghamton University di New York, arriva la notizia riguardante una particolare batteria pieghevole e realizzata con carta biodegradabile (da qui il nome origami), in grado di generare energia grazie all’utilizzo dei batteri presenti nell’acqua sporca.

Origami

La batteria origami è stata ideata da Seokheun Choi ed è dotata di un catodo di carta sul quale è stato spruzzato del nichel, mente delle vernici al carbonio sono state depositate sull’anodo. All’interno della batteria è stata realizzata una zona idrofila delimitata con della cera per fare in modo che la respirazione microbica produca l’energia sufficiente ad attivare un biosensore cartaceo, il tutto sfruttando i batteri, presenti in grandi quantità anche nell’acqua sporca.

“L’acqua sporca contiene molta materia organica. Qualsiasi tipo di materiale può essere fonte di batteri per il metabolismo batterico” Queste le parole di Choi durante la presentazione della batteria.

Nonostante alcuni test abbiano dimostrato che, attualmente, collegando quattro batterie in serie si riesce ad alimentare un piccolo Led, la batteria, grande come una scatola di fiammiferi e dal costo di soli 5 centesimi, attualmente è in grado di generare solo pochi microwatt di energia, sufficienti ad alimentare degli speciali biosensori utilizzabili attraverso il collegamento a degli smartphone.

Choi ed i ricercatori ideatori di questa batteria, hanno ricevuto un finanziamento triennale da circa 300mila dollari dalla National Science Foundation ed ora stanno studiando per trasformare il progetto e realizzare un sistema di accumulo di energia che potrà poi essere utilizzato nelle zone più remote del mondo e con poche risorse a disposizione.

Maggiori dettagli ed i risultati dello studio di Choi, sono stati pubblicati sulla rivista Nano Energy.

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