BlackBerry Priv, smacco ai modders: no ai permessi di root

La sicurezza prima di tutto. Il diktat del nuovo corso griffato BlackBerry Priv è rimasto il medesimo, nonostante le intemperie del brand legate all’abbandono di BB10 ed al consequenziale approdo dentro la piattaforma mobile di Google, indubbiamente più in voga e capace d’attrarre un numero ben più cospicuo di consumatori. Il primo smartphone Android della compagnia canadese non ha dunque intaccato il modus operandi di una società impegnata, da sempre, a salvaguardare i dati sensibili dei propri clienti.

Priv è d’altronde l’acronimo di <<privacy>>, un appellativo che condensa il lavoro messo a punto dalla pluridecorata BlackBerry e che può esser letto (anche simbolicamente) come segno di risposta ai detrattori, pronti a salire sul carro dei vincitori qualora tutto non fosse andato per il verso giusto. Priv dimostra che la sicurezza può attagliarsi all’indole tipicamente <<open>> di Android, senza che questo possa esser pregiudizievole alla protezione dei dati sensibili ed alle informazioni più riservate.

Dietro la trasformazione di BlackBerry c’è tuttavia un limite, una diniego che potrebbe far storcere il naso agli <<irriducibili>> del modding: l’impossibilità di sbloccare il bootloader ed accedere ai permessi di root di Priv (e degli altri smartphone dell’azienda in arrivo entro il 2016). La scelta in discorso è stata argomentata in queste giorni dal Director di BlackBerry Security, Alex Manea, che a mezzo del blog ufficiale ha tenuto a precisare l’intento del brand di non divulgare i diritti di root e lo sblocco del bootloader per il proprio e capostipite smartphone Android.

La motivazione è presto detta, e si basa sul target d’utenza che la compagnia canadese vuol aggredire col suo BlackBerry Priv, fortemente votato al business ed alla protezione dei dati sensibili degli utenti. Accedere al root sarebbe, secondo il pensiero di Manea, l’inverarsi di un meccanismo pronto a metter in crisi la sicurezza e la privacy, giacché l’operazione in questione raggiungerebbe parti di sistema quantomeno “delicate”, anche in ragione di possibili rischi malware.

La società capitanata dal CEO John Chen ha d’altro canto fatto il possibile per lenire ogni possibile stortura pronta a far crollare quel castello di sabbia chiamato <<sicurezza>>, ed a tale stregua è stato introdotto un meccanismo di protezione (BlackBerry Integry Detection) volto a salvaguardare l’integrità del kernel e dei files di sistema. BlackBerry Priv non sarà dunque lo smartphone dei sogni di qualsivoglia modders che si rispetti, anche se in fondo era chiaro a tutti quale sarebbe stata la strada percorsa dal colosso canadese nel suo nuovo progetto Android. Con buona pace, a questo punto, per la massa d’utenza disinteressata alla notizia e pronta ad abbracciare sicurezza e protezione sotto l’ala protettrice di BlackBerry.

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