40 anni di Goldrake e Jeeg Robot d’Acciaio!

40 anni fa esatti due celebri cartoni animati giapponesi (Goldrake e Jeeg Robot) venivano trasmessi in patria per la prima volta in TV.

Proprio così: risalgono al 5 ottobre del 1975 il primo episodio di UFO Robot Grendizer, quello che noi avremmo conosciuto 3 anni dopo col nome di “Atlas UFO Robot” (il leggendario Super Robot pilotato dall’alieno Duke Fleed che negli anni ’80 dette vita a un vero e proprio fenomeno di costume, segnando intere Actarusgenerazioni), e di Kotetsu Jeeg, cioè il nostro immenso Jeeg Robot d’Acciaio, assemblato coi componenti forniti in volo dalla fedelissima Miwa Uzuki, i quali insieme alla testa in cui si trasformava il prodigioso Hiroshi andavano a comporre la struttura del metallico gigante buono.

I due cartoni animati venivano prodotti dalla storica casa di animazione nipponica Toei Animation, che si avvaleva del soggetto ideato dal noto mangaka Go Nagai, autore delle omonime opere cartacee. Il primo narrava le vicissitudini del principe di un pianeta invaso dagli spietati abitanti di una stella (Vega) destinata ad estinguersi, il quale riusciva a fuggire a bordo di un’avanzatissima macchina da guerra (Goldrake) per approdare sulla Terra e stabilirvisi con una nuova identità. L’anime, di grande impatto per l’epoca ed attuale più che mai nella sua accorata esortazione a una pacifica convivenza tra tutti i popoli del creato, era impreziosito da espliciti riferimenti non solo alla fantascienza anni ’50 ma anche – sempre in virtù della passione che Nagai nutriva per la cultura occidentale – agli indimenticati film genere “spaghetti-western”, ambientato com’era per metà tra i cieli e per metà nel famoso ranch di Rigel.

Il secondo, invece, era incentrato sulle avventure del più ribelle e anarchico Hiroshi Shiba, figlio di uno scienziato visionario che durante alcuni scavi archeologici rinveniva una misteriosa campana di bronzo. Il reperto era in realtà un oggetto appartenuto al malvagio impero Yamatai, confinato da secoli nel sottosuolo ma intenzionato a risorgere e a riappropriarsi del Jeeg Robot d'Acciaioprezioso manufatto, indispensabile alla realizzazione dell’ambizioso disegno di conquistare il mondo intero. Hiroshi si ritrovava poi a scoprire dolorosamente il destino che il padre gli aveva riservato installandogli nel torace in giovane età la famosa campana (per impedire che l’antico popolo potesse impadronirsene), che lo avrebbe trasformato in un androide per tutta la vita.

Superbe anche le voci italiane, di signori che ancor prima di doppiare recitavano spesso e volentieri in teatro, nonché le indimenticabili sigle. “UFO ROBOT“, scritta da Luigi Albertelli, con musiche e arrangiamenti a cura di Vince Tempera, Ares Tavolazzi e Massimo Luca, veniva eseguita dalla straordinaria Big Band della RAI (che tempi!) ed interpretata dal coro degli Actarus, che era composto da Alberto Tadini (voce solista della seconda sigla intitolata “Goldrake”), Fabio Concato e Dominique Regazzoni. Chi non le ricorda?

Jeeg Robot” era invece interpretata da Roberto Fogu (in arte Fogus), sebbene gli appassionati abbiano per lungo tempo attribuito la paternità della voce al cantante dei Litfiba Piero Pelù. Fu lo stesso Pelù, svariati anni più tardi, a smentire ufficialmente la credenza dichiarando di essere ancora un adolescente nel periodo in cui il cartone andava in onda: un adolescente che giocava a calcio e che in TV seguiva il personaggio proprio come tutti gli altri fan!

Il curioso episodio, tuttavia, non dovette lasciarlo indifferente, dato che nel 2008 realizzò una sua personale versione della sigla, poi inserita nell’album solista “Fenomeni”. Il brano divise il fandom tra coloro che ne apprezzarono la qualità e l’originalità, e quanti invece non poterono evitare il confronto con lo strepitoso pezzo storico, ormai fatalmente radicato nel cuore degli spettatori. Del resto si sa, i cultori più genuini dei miti del passato, di fronte anche alla migliore rivisitazione, si schiereranno sempre dalla parte dell’originale. Parola di una nostalgica DOC!

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